[IT] Finalmente Sole. Centro Donna di Salute Mentale

Assunta Signorelli

[IT] Non so perché ma mi risulta sempre molto difficile pensare a parole che esprimono sensazioni sentimenti, stati d’animo, condizioni dell’esistere come parole cui dare un solo significato o, meglio, un valore, una qualità, positiva o negativa che sia, comunque univocamente definita. Credo che queste parole, hanno sensi e significati diversi a seconda dell’ottica da cui si guardano. Sono, cioè, parole legate a storie, tempi, culture e generi e soltanto in questo intreccio si costruisce e chiarisce il loro significato.

«<<Vivo da sola perché l’ho scelto, (…), l’ho deciso, l’ho voluto con tutta me stessa perché ci credevo. Io la metterei come tappa obbligatoria sia per gli uomini che per le donne>>. Così una donna di 28 anni di Bologna, all’intervistatore che le chiedeva il perché della sua condizione» (Maura Palazzi in «Donne Sole»). Ed allora solitudine non come condanna o patologia, ma come condizione possibile di un’esistenza di donna che ha imparato dalla storia del suo genere che per troppo tempo «l’essere con» ha significato disconoscimento di valore, condizione di subalternità all’altro da sé che in cambio di cure ed affetto offriva tutela e valore sociale.

Solitudine, in quest’ottica, come possibilità di ritrovarsi e riconoscersi, riscoprendo il valore ed il significato della propria identità in un processo di autovalorizzazione che ripropone la donna sulla scena dell’esistere come alterità con cui confrontarsi e non più come oggetto subalterno, vittima di una «mancanza» naturale e, perciò stesso, in sé carente e bisognevole di tutela.

Certamente solitudine anche come dolore, sofferenza laddove non può essere scelta ma costrizione, necessità figlia dell’abbandono o della fuga, luogo dell’assenza e del non senso, di un vuoto, ricordo e memoria di un passato pieno tanto da scoppiare.

Solitudine e dolore che è impossibile definire in termini teorici perché intimamente legati al sentire, al silenzio, quel silenzio che va oltre la parola ed il linguaggio e che segna il limite della comunicazione verbale ed esplicita una complessità dell’esistenza che non può essere ristretta o costretta in parole o definizioni per loro natura statiche e non «in divenire» come l’esperienza esistenziale per se stessa è: «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere.» (Wittgenstein).

E la storia delle donne trascorre e si declina tra forme di solitudine, dolori e gioie che nel corpo si esprimono e nel cui linguaggio si riconoscono.

Il testo completo lo trovi qui.

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